Leasing dal 29.aprile.12 deduzione canoni non più subordinata alla durata

La circolare Assonime n. 14 di ieri si è occupata anche delle nuove regole di deducibilità dei canoni di leasing per imprese e professionisti introdotte dal DL 16/2012 convertito.

Leasing dal 29.aprile.12 deduzione canoni non più subordinata alla durata minima del contratto. I canoni di leasing non dedotti aumentano il costo fiscale

La circolare Assonime n. 14 analizza gli effetti delle nuove regole di deducibilità dei canoni di leasing in caso di riscatto e cessione del contratto

 

La circolare Assonime n. 14 di ieri si è occupata anche delle nuove regole di deducibilità dei canoni di leasing per imprese e professionisti introdotte dal DL 16/2012 convertito.
Con riferimento ai contratti di leasing stipulati a partire dal 29 aprile 2012 (data di entrata in vigore della legge di conversione del DL 16/2012), la deduzione dei relativi canoni non è più subordinata alla durata minima del contratto, ma ad una quota massima che si ottiene, in linea generale, suddividendo il costo complessivo dei canoni per un periodo non inferiore ai due terzi del periodo di ammortamento stabilito dai coefficienti ministeriali.

 

Si supponga di aver stipulato un contratto di leasing di 3 anni (36 mesi) e canoni per 120.000 euro (quota di capitale).

Il periodo di ammortamento tabellare è di 12 anni e mezzo (150 mesi).


Prima dell’intervento del DL 16/2012 convertito, la durata minima del contratto doveva essere almeno di 100 mesi. In caso contrario, i canoni non erano deducibili.


Con la nuova disciplina, invece, il Legislatore fissa un ammontare massimo di canoni deducibile, calcolato spalmando il totale dei canoni sui 2/3 del periodo di ammortamento del bene in leasing.

In pratica, a fronte di un costo imputato a Conto economico in ciascun esercizio di 40.000, il soggetto utilizzatore potrebbe dedurre solo 14.400 euro (120.000/100 mesi).

 

Un aspetto analizzato dalla circolare n. 14/2012 di Assonime è il trattamento fiscale dei canoni di leasing non dedotti al momento della scadenza del contratto.

Nella circolare si osserva che, stante il tenore letterale della norma, la deduzione dei canoni dovrebbe continuare con le stesse regole, fino al termine del periodo individuato dall’art. 102 comma 7 (2/3 del periodo di ammortamento).

In realtà, nel caso in cui l’impresa decida di riscattare il bene in leasing, le quote residue di canone imputate a Conto economico, ma non dedotte, dovrebbero costituire elementi aggiuntivi del costo fiscale del bene, da far valere sulle successive vicende reddituali dello stesso, quindi in caso di ammortamento ovvero cessione.

Assonime osserva che non risponderebbe a criteri di sistematicità continuare la deduzione fiscale dei canoni quando il bene è ormai di proprietà del soggetto utilizzatore.

 

Nel caso in cui, invece, si ceda a terzi il diritto di riscatto, il costo residuo dei canoni non ancora dedotti deve contrapporsi ai proventi realizzati con la cessione medesima.


Si ricorda, a tal proposito, che la C.M. n. 108/E del 3 maggio 1996 ha precisato che, in caso di cessione di contratto di leasing, il valore normale del bene deve essere assunto al netto dei canoni relativi alla durata residua del contratto e del prezzo stabilito per il riscatto. Nei canoni relativi alla durata residua, occorrerà conteggiare anche quelli non dedotti.

Qualora, al termine del contratto, l’impresa utilizzatrice non eserciti il diritto al riscatto, sembrerebbe corretto, in prima battuta, proseguire con la deduzione dei canoni non dedotti.


A ben vedere, secondo l’Assonime, anche in questo caso la prosecuzione del regime di deduzione fiscale nel periodo programmato è soluzione non del tutto appagante.

Dal momento che l’ammontare complessivo dei canoni desunti dal contratto costituisce un costo pluriennale, secondo l’Associazione, sarebbe preferibile dedurre il costo fiscale residuo nell’esercizio di cessazione del contratto, “così come accade in via più generale nelle ipotesi di perdita di cespiti (materiali o immateriali) dell’attivo patrimoniale”.

 

Un altro problema affrontato dall’Assonime riguarda la gestione degli interessi passivi.
L’art. 102 comma 7 del TUIR prevede, infatti, che la quota degli interessi passivi desunta dal contratto sia deducibile secondo le regole dell’art. 96 del TUIR.

Non è chiaro se gli interessi passivi deducibili nel periodo d’imposta debbano essere calcolati sulla base della durata effettiva del contratto (36 mesi nell’esempio) ovvero sulla base della durata convenzionale minima (100 mesi, sempre nell’esempio).

Se si accoglie la prima impostazione, gli interessi passivi devono essere semplicemente scomputati dall’ammontare complessivo dei canoni, per poi essere dedotti secondo le regole dell’art. 96 del TUIR.

Nell’altro caso, invece, gli interessi passivi complessivi, riferiti ad una durata del contratto triennale, sarebbero deducibili considerando la durata virtuale del contratto e, quindi, un periodo più lungo.

L’Assonime osserva che quest’ultima soluzione sembrerebbe “più aderente all’impostazione generalmente accolta dalla prassi che tende a considerare in modo unitario il canone di leasing, all’interno del quale opera, quindi, anche la separazione tra quota di capitale e quota di interessi”.

Fermo restando che l’Associazione sul punto auspica un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate, tale ricostruzione non sembra, ad avviso di chi scrive, aderente al dato letterale della norma, né coerente sul piano sistematico.