Sistema identificazione diretta ai fini IVA.

Con questo sistema contribuente “stabilito” in UE rileva le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in un altro Stato, esegue la detrazione dell’imposta come debitore (o creditore) dell’Iva per le operazioni ivi effettuate.

Sistema identificazione diretta ai fini IVA.

Con questo sistema ciascun contribuente “stabilito” in un determinato Paese Europeo rileva le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in un altro Stato, esegue la detrazione dell’imposta come debitore (o creditore) dell’Iva per le operazioni ivi effettuate.

Tale identificazione ai fini IVA è prevista dagli artt. 17 e 35-ter del D.P.R. n.633/1972, i quali prevedono l’istituto dell’ “identificazione diretta”, attraverso il quale un soggetto non residente può identificarsi direttamente ed acquisire in Italia una partita Iva con la quale operare (la procedura è disciplinata dall’art. 35-ter del D.P.R. n.633/1972).

Secondo la Direttiva europea n.2000/65/CE ciascun Paese comunitario deve consentire l’identificazione diretta degli operatori comunitari residenti in un altro Stato appartenente alla UE per assolvere agli obblighi Iva in caso di operazioni effettuate nel territorio di tale Stato.

In caso di identificazione diretta l’Amministrazione finanziaria attribuisce al soggetto richiedente un numero di partita Iva con una seriazione che evidenzia la natura di soggetto non residente identificato in Italia (numero contraddistinto dalla seriazione 999, nelle penultime tre cifre).

Detto questo, con riguardo al caso oggetto del quesito, il soggetto che ha emesso la fattura è un soggetto estero non residente  (Lussemburgo) che ha provveduto all’identificazione diretta in Italia: ciò lo si desume dalla composizione della partita Iva indicata, che riporta la particolare seriazione attribuita dall’Amministrazione finanziaria in situazioni come quelle, appunto, di identificazione diretta.

 

Corretto trattamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

L’art. 17, comma 2, del D.P.R. n.633/1972, prevede, dopo le modifiche normative apportate dal D.lgs. 11 febbraio 2010 n.18, che “gli obblighi relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti nei confronti di soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato, compresi i soggetti indicati all’art. 7-ter, comma 2, lettere b) e c), sono adempiuti dai cessionari o committenti”.

A partire dal 1° gennaio 2010, l’Iva relativa a tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi territorialmente rilevanti ai fini dell’imposta in Italia – rese da soggetti non residenti e non stabiliti in Italia – deve essere assolta dal cessionario o committente, quando questi sia un soggetto passivo stabilito in Italia, mediante l’applicazione del “reverse charge”, ancorché il cedente o prestatore sia identificato ai fini Iva in Italia, tramite identificazione diretta o rappresentante fiscale (sul punto circolari 18 marzo 2010, n.14, e 21 giugno 2010, n.36, risposta al quesito n.31).

Verificandosi le due circostanze:

-  cedente / prestatore non residente e

- cessionario / committente stabilito

solo il cessionario o committente se soggetto passivo IVA, a norma dell’art. 17, comma 2, deve eseguire gli obblighi relativi all’applicazione dell’imposta.

E’ da ritenere, stante anche quanto previsto dall’Amministrazione finanziaria (Ris. 25.08.2010 n.89/E), che a nessun adempimento sia tenuto il cedente o prestatore non residente, anche se ivi identificato nel territorio dello Stato: ciò in particolare, esclude che il cedente o prestatore non residente sia tenuto all’emissione della fattura (e ai conseguenti adempimenti di annotazione e dichiarazione), tramite il numero identificativo Iva italiano.

Le norme sin qui citate, a parere dell’Amministrazione finanziaria, non escludono, tuttavia, che in relazione ad una cessione interna il rappresentante fiscale (o la società estera identificata direttamente) possa – per proprie esigenze – emettere nei confronti del cessionario/committente residente un documento non rilevante ai fini dell’Iva, con indicazione della circostanza che l’imposta afferente tale operazione verrà assolta dal cessionario o committente (Ris. 25.08.2010 n.89/E).

Operativamente la società italiana, quale soggetto cessionario e destinatario degli adempimenti Iva in luogo del cedente, dovrà provvedere all’emissione di un’autofattura (in data dell’effettuazione dell’operazione, cioè della consegna dei beni, o, se antecedenti, del pagamento o dell’emissione della fattura), in cui sia indicato l’esatto ammontare dell’imposta dovuta; successivamente si deve registrare il documento sia nel registro delle fatture di vendita che in quello delle fatture di acquisto, computare nella liquidazione periodica l’imposta relativa all’autofattura sia a proprio debito che a proprio credito, e in ultima registrare la fattura estera solo ai fini contabili.

L’autofattura deve essere compilata in un unico esemplare, non dovendo essere consegnata o spedita alla controparte e deve contenere i requisiti essenziali previsti per le fatture ordinarie; sulla stessa deve essere indicato il numero di partita Iva del committente, ossia del soggetto passivo che emette l’autofattura.

Salvo l’apertura di registri sezionali appositi, all’autofattura deve essere attribuita la stessa numerazione progressiva delle fatture emesse, e sulla stessa deve essere riportata anche la numerazione delle fatture ricevute.

La registrazione dell’autofattura nel registro delle fatture emesse deve essere effettuata entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro 15 giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese.

 

Identificazione diretta operazioni con i Clienti consegna: diretta – indiretta

 

Nei rapporti intracomunitari, la possibilità di semplificare gli adempimenti amministrativi al fine di evitare, in particolare, la presentazione dei modelli INTRASTAT dipende da come viene impostata l’operazione.

Ipotizziamo il caso di una società stabilita in un altro Paese membro dell’Unione europea, che vende beni in Italia ai propri clienti, titolari di partita IVA.

Gli obblighi IVA variano a seconda della modalità di consegna dei beni ai clienti italiani, che può essere:

-        diretta, se i beni vengono consegnati direttamente dalla società non residente ai clienti;

-        indiretta, se i beni vengono consegnati ai clienti per il tramite della posizione IVA italiana della società non residente (identificazione diretta, ex art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972, oppure rappresentante fiscale), cioè previa acquisizione intracomunitaria.

 

Consegna diretta 

Ipotizzando che il fornitore estero si sia identificato ai fini IVA in Italia, indifferentemente attraverso una delle due possibilità previste dalla normativa (identificazione diretta o rappresentante fiscale), si osserva che nella consegna diretta: la posizione IVA italiana non può essere utilizzata ai fini della cessione, con la conseguenza che la società non residente, pur essendo identificata in Italia, non è tenuta ad alcun obbligo.

Nello specifico, nell’operazione in esame, la società estera non deve, attraverso la propria posizione IVA:

-        né emettere fattura con addebito dell’IVA;

-        né presentare i modelli INTRASTAT.

È il caso, infatti, di ricordare che il DLgs. n. 18/2010 ha ampliato l’ambito applicativo del reverse charge.

In particolare:

fino a tutto il 2009, per le operazioni in esame, il sistema dell’inversione contabile era facoltativo, in quanto – in via prioritaria, seppure non obbligatoria – il soggetto non residente identificato in Italia doveva utilizzare tale posizione IVA per fatturare, con addebito dell’imposta, le cessioni/prestazioni territorialmente rilevanti;

dal 2010, a seguito della generalizzazione delle ipotesi di reverse charge obbligatorio, il cliente italiano, se soggetto passivo, assume sempre la qualifica di debitore d’imposta, per cui al fornitore non residente è precluso l’addebito del tributo per il tramite della propria posizione IVA.

In definitiva, nell’ipotesi di consegna diretta, la partita IVA italiana della società non residente

- non può addebitare l’imposta ai clienti

- non deve neppure presentare gli elenchi riepilogativi degli scambi intracomunitari.

Resta inteso che, per i beni ceduti trasportati/spediti in Italia a partire da un altro Paese membro:

-        il fornitore comunitario effettua una cessione intracomunitaria, non imponibile IVA, per la quale deve presentare, nel proprio Paese, il modello INTRA 1-bis;

-        il cliente italiano, corrispondentemente, effettua un acquisto intracomunitario, imponibile IVA, soggetto alla procedura di integrazione e di registrazione di cui agli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993, per il quale deve presentare il modello INTRA 2-bis.

 

Consegna indiretta 

Nella consegna indiretta tornano utili le indicazioni fornite dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36 del 21 giugno 2010 (Parte II, § 31), in base alle quali:

-        la posizione IVA italiana effettua un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, comma 3, lett. b), del D.L. n.331/1993, relativo a beni trasferiti “senza vendita” ed a “se stessi” da un altro Paese membro verso l’Italia, rispetto al quale deve essere presentato il modello INTRA 2-bis;

-        il cliente italiano, a seguito del proprio acquisto, applica il sistema del reverse charge di cui all’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, cioè – nel caso in esame – la procedura di integrazione e di registrazione prevista per gli acquisti intracomunitari.

In conclusione, anche in quest’ultima ipotesi, consegna indiretta, in cui la cessione viene posta in essere previa acquisizione intracomunitaria da parte della posizione IVA italiana, la generalizzazione dell’obbligo di reverse charge esclude l’addebito dell’imposta al cliente.

Il Cliente effettua un acquisto interno e non intracomunitario non dovrà presentare il modello INTRA 2-bis, così come il fornitore estero, per il tramite della posizione IVA italiana, non dovrà presentare il modello INTRA 1-bis.