Fiscalità del trust - Trust auto-dichiarato.
La sentenza della Cassazione n.21614 del 24 ottobre 2016, che ha affrontato la delicata questione della fiscalità indiretta del trust auto-dichiarato, acquisisce particolare rilevanza in quanto, dopo le ordinanze emanate nel 2015 dalla sesta sezione, e destato un inversione della Corte.
Il caso esaminato riguarda un trust auto-dichiarato, nel quale quindi il disponente aveva assunto la qualifica di trustee.
Le precedenti ordinanze (nn. 3735/3737/3886 del 4/2/2015) apparivano fortemente innovative, rispetto al panorama interpretativo formatosi precedentemente, con riferimento all’art. 2, d.l. n. 262/2006.
L’ordinanza n. 3735/2015 considera il caso di un trust auto dichiarato, in funzione di garanzia, istituito per “rafforzare la generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari”.
L’atto istitutivo prevedeva che, al raggiungimento dello scopo principale, il fondo sarebbe stato destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia del disponente e, al termine del trust, l’eventuale residuo sarebbe stato attribuito al disponente, se in vita, oppure ai legittimi eredi.
Anche il trust esaminato nella ordinanza n. 3886/2015 era auto dichiarato, costituito da due coniugi in funzione dell’“applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale”; beneficiari erano indicati gli stessi disponenti, se in vita, altrimenti i figli in parti uguali.
L’ordinanza n. 3737/2015 riguarda, invece, una fattispecie di trust, costituito da una serie di enti, con provvista di denaro da parte di uno di questi, avente lo scopo di procedere alla manutenzione, alla riqualificazione ed allo sviluppo di un aeroporto. L’atto istitutivo prevedeva che, al termine del trust, eventuali beni residui sarebbero stati devoluti ad uno degli enti partecipanti oppure ad altro ente o società pubblica individuato dai disponenti. In tutti i casi, l’Agenzia delle Entrate aveva applicato l’imposta sulle successioni e donazioni al momento della costituzione del vincolo con aliquota dell’8%.
La Corte ha cassato con rinvio le sentenze delle diverse Commissioni Tributarie Regionali che avevano accolto le ragioni dei contribuenti, nel senso della sola imposizione fissa di registro sulla costituzione del vincolo, ed ha ritenuto applicabile l’imposizione in misura proporzionale dell’8% (oltre alle imposte ipotecaria e catastale nella ordinaria misura proporzionale, nella ordinanza n. 3886/2015).
Ed è da sottolineare come, negli ultimi anni, l’interpretazione prevalente, anche della Amministrazione finanziaria, CIRC. AG. ENT. n. 3/E/2008, ha ritenuto tendenzialmente estranei dal campo applicativo del tributo donativo e successorio (con applicazione della sola imposta fissa di registro) le ipotesi di vincoli di destinazione “non traslativi”.
In questo senso: “Analisi interpretative e novità della circolare 3/E/2008 dell’Agenzia delle Entrate”, e “I quaderni della Fon.it.Notariato, Milano, 2008, pag.83”.
L’impostazione accolta nelle sentenze ordinanze (nn. 3735/3737/3886 del 4/2/2015) della Corte di Cassazione potrebbe invece condurre ad affermare l’imposizione proporzionale anche alle fattispecie di atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c., ai trust auto-dichiarati, ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447 bis c.c., ad ogni tipologia di fondo patrimoniale ex art. 167 c.c., al fondo comune della retecontratto (8)
In generale, nella categoria dei vincoli di destinazione si ritengono ricompresi tutti quei regolamenti negoziali idonei a determinare un effetto di separazione/segregazione patrimoniale da destinazione, cui consegue uno “statuto speciale” con riferimento sia alle facoltà proprietarie sia alla responsabilità patrimoniale.
È noto come l’impostazione teorica abbia portato a definire i concetti di destinazione patrimoniale e vincolo di destinazione basandosi su un’idea di patrimonio non più fondato sull’elemento aggregante del soggetto, ma qualificato essenzialmente dal criterio della funzione e della destinazione impressa ai beni. Tuttavia, la diffusa presenza nel nostro ordinamento di fattispecie di separazione patrimoniale, conseguenti ad atti di destinazione, non ha ancora condotto a soluzioni condivise nel senso di ammettere una categoria generale di “negozi di destinazione”.
Sulla configurabilità di un fenomeno “segregativo”, nelle fattispecie di trust, che si distingue dalla generica separazione patrimoniale.
La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione, in Giur.trib., 2015, 397 ss., l’orientamento della Corte implicherebbe l’imposizione anche per le intestazioni fiduciarie, alle fondazioni, alle iscrizioni ipotecarie ed agli atti di pignoramento, in quanto regolamenti capaci di produrre un effetto destinatorio.
La portata delle pronunce deve essere interpretata come limitata a quei vincoli che sono in grado di costituire patrimoni separati o segregati.
Con la sentenza 21614 del 24 ottobre 2016, invece la Cassazione ha manifestato un inversione di tendenza rispetto alle ordinanze del 2015.
Il caso esaminato riguarda un trust auto-dichiarato, nel quale quindi il disponente aveva assunto la qualifica di trustee.
Il notaio aveva assoggettato a tassazione in misura fissa l’atto di dotazione con il quale era stata realizzata la disposizione in trust dei beni immobili da parte del disponente.
L’Agenzia, ritenendo che fossero invece dovute le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale, aveva emesso un avviso di liquidazione per recuperare nei confronti del notaio rogante le imposte non versate.
Sia in primo che in secondo grado, le commissioni tributarie adite avevano “sposato” la tesi della difesa, ritenendo che l’atto dovesse scontare la tassazione in misura fissa poiché “nel caso di specie nessun trasferimento di beni che dovesse essere soggetto alle imposte ipotecarie e catastali era stato ancora posto in essere, anche in considerazione della natura di trust autodichiarato del trust nel quale il disponente e il trustee coincidevano con la medesima persona”.
L’Agenzia delle entrate ha appellato la sentenza, ribadendo la debenza delle imposte in misura proporzionale.
Nell’analizzare la questione, i giudici della Suprema Corte ritengono sbagliata la lettura fatta dall’Ufficio, sebbene in linea con le indicazioni fornite dall’Agenzia nelle circolari 48/E/2007 e 3/E/2008.
Secondo la visione formulata nei documenti di prassi in questione, infatti, la segregazione realizzata con la disposizione dei beni nel trust, a prescindere dal fatto che questo sia autodichiarato o meno, realizza un trasferimento dei beni da assoggettare a imposizione a livello di imposta di successione e donazione e, in presenza di immobili, di ipocatastali.
La Cassazione ritiene “incoerente” la posizione dell’Agenzia: se è applicabile l’imposta sulle successioni e donazioni, la disposizione dei beni nel trust non può configurare un trasferimento imponibile.
Il trust autodichiarato deve essere invece considerato alla stregua di una donazione indiretta: il trustee non è proprietario dei beni, ma si limita ad “amministrarli”; i beni verranno per forza di cose trasferiti ai beneficiari in esecuzione del programma negoziale stabilito e l’imposizione proporzionale si realizzerà in quel momento.
L’atto di dotazione deve essere assoggettato alle imposte in misura fissa, atteso il fatto che “manca il presupposto impositivo della liberalità alla quale può dar luogo soltanto un reale arricchimento mediante un reale trasferimento di beni e diritti”.
La sentenza prosegue esaminando la visione “elaborata” dalle ordinanze del 2015 della sesta sezione della Corte di cassazione.
L’indicazione che si ricava da queste pronunce è che debba essere tassato l’atto di dotazione, ma con l’applicazione non dell’imposta di successione e donazione, quanto piuttosto dell’imposta sulla costituzione di vincoli di indisponibilità.
Secondo questo orientamento, infatti, il comma 47 dell’articolo 2 del D.L. 262/2006 non si sarebbe limitato a reintrodurre nell’ordinamento l’imposta di successione e donazione, ma avrebbe “concepito” una nuova imposta, appunto l’imposta sui vincoli di destinazione.
La sentenza 21614 “rifiuta” questa chiave di lettura dell’intervento del legislatore del 2006: questo si è concretizzato soltanto nella reintroduzione dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni; ad essa, per ulteriore espressa disposizione, sono soggetti anche i vincoli di destinazione, necessitando però come presupposto impositivo il reale trasferimento di beni o diritti richiesto dall’articolo 1 del D.Lgs. 346/1990 e quindi il reale arricchimento dei beneficiari.
Il principio di diritto affermato dalla sentenza è il seguente:
“L’istituzione di un trust cosiddetto autodichiarato, con conferimento di immobili e partecipazioni sociali, con durata predeterminata o fino alla morte del disponente-trustee, con beneficiari i discendenti di quest’ultimo, deve scontare l’imposta ipotecaria e quella catastale in misura fissa e non proporzionale, perché la fattispecie si inquadra in quella di una donazione indiretta cui è funzionale la segregazione quale effetto naturale del vincolo di destinazione, una segregazione da cui non deriva quindi alcun reale trasferimento di beni e arricchimento di persone, trasferimento e arricchimento che dovrà invece realizzarsi a favore dei beneficiari, i quali saranno perciò nel caso successivamente tenuti al pagamento dell’imposta in misura proporzionale”.
Con la sentenza 21614, quindi, i giudici hanno ritenuto di avallare la tesi da sempre sostenuta da parte di dottrina e notariato, che è quella da considerare più convincente dal punto di vista “tecnico”.
La questione non può essere però considerata “chiusa” definitivamente: dobbiamo infatti tenere conto delle indicazioni che indirettamente il legislatore ha formulato in relazione alla fiscalità indiretta del trust nella legge sul “dopo di noi”.
La pronuncia della Suprema Corte, indubbiamente convincente nel ragionamento sviluppato, peraltro nel solco delle tesi da sempre sostenute da dottrina e notariato, non sembra però aver tenuto conto dell’impatto sulla questione delle scelte fatte dal legislatore della legge sul dopo di noi, impatto che non può però essere trascurato.
La versione originaria della disposizione, nel disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati il 4 febbraio 2016, si limitava a stabilire soltanto l’esenzione dall’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni per gli atti di dotazione nei confronti di trust istituiti a favore di soggetti con grave disabilità.
Durante le audizioni al Senato, l’Agenzia delle entrate, così come peraltro il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, avevano evidenziato come una scelta di questo tipo potesse aprire le porte ad un utilizzo elusivo del trust, consentendo di evitare ogni imposizione.
Questa conseguenza sarebbe derivata dal fatto che la tassazione indiretta del trust, nella visione sostenuta dall’Agenzia a partire dalle circolari 48/E/2007 e 3/E/2008, si realizza soltanto al momento della disposizione dei beni in trust, essendo invece irrilevante ai fini impositivi il trasferimento del patrimonio, anche se nel frattempo incrementato, ai beneficiari finali.
Nel caso del trust della legge sul “dopo di noi”, il combinato disposto dell’esenzione “speciale” garantita all’atto di dotazione e dell’irrilevanza “generale” della devoluzione a favore dei beneficiari finali avrebbe fatto sì che il presupposto impositivo non si verificasse mai.
Alla luce di queste considerazioni, l’Agenzia ha suggerito di introdurre nel corpo della norma “specifiche disposizioni normative volte a definire la tassazione da applicare al trasferimento dei beni a favore del beneficiario finale”.
Accogliendo le osservazioni formulate, il legislatore ha modificato il comma 5 dell’articolo 6 del provvedimento, stabilendo che, nel caso del trust della legge sul “dopo di noi”, il trasferimento del patrimonio residuo sconta l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni: non si tassa quindi all’inizio, ma alla fine.
Fa eccezione la fattispecie, disciplinata nel quarto comma, del “ritorno” del patrimonio ai disponenti, qualora sia questa la conseguenza prevista nell’atto istitutivo in caso di premorienza del soggetto disabile: in questo caso non si verifica alcuna imposizione, visto che i beni affluiscono nuovamente nel patrimonio degli “originali” proprietari.
È evidente che, disciplinando in questo modo la fiscalità indiretta del trust “speciale” della legge sul “dopo di noi”, il legislatore ha avallato la posizione dell’Agenzia in relazione a tutti gli “altri” trust: per questi, ragionando a contrariis, la tassazione si realizza quindi all’inizio e non alla fine.
La posizione espressa dalla Cassazione nella sentenza 21614/2016 appare quindi in netta antitesi rispetto a quella assunta dal legislatore ed è destinata evidentemente a continuare ad alimentare il significativo contenzioso che si è generato sin qui su questa delicata materia.