Art.art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 note di variazione Fallimenti Procedure

Nota di variazione nei casi di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato e di piano attestato pubblicato nel Registro delle imprese.

Art.art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 note di variazione

Variazioni dell’imponibile e dell’imposta per esercitare il diritto ad emettere una nota di variazione, con valenza sull’imposta, nei casi di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato e di piano attestato pubblicato nel Registro delle imprese.

L’art. 26, co. 2, Dpr 633/1972 regola le variazioni in diminuzione degli importi fatturati qualora, successivamente all’emissione e registrazione della fattura, si verifichino determinate circostanze, tra le quali il mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose.

 

E’ entrato in vigore  il D.Lgs n.175/2014, cd. decreto Semplificazioni, è stato eliminato il termine annuale per l’emissione delle note di variazione nei casi di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato e di piano attestato pubblicato nel Registro delle imprese.

 

La disciplina previgente, prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972, riguardante le variazioni dell’imponibile e dell’imposta, vedeva la possibilità, per un contribuente, di esercitare il diritto ad emettere una nota di variazione, con valenza sull’imposta, solo a specifiche condizioni.

L’operazione originaria, necessariamente fatturata in precedenza, doveva venir meno (in tutto o in parte), oppure doveva ridursi l’ammontare imponibile, in seguito a:

-        dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e casi assimilabili;

-        mancato pagamento, totale o parziale, a causa di procedure concorsuali o procedure esecutive rimaste infruttuose;

-        applicazione di abbuoni o sconti contrattualmente previsti.

Tale impostazione, generalmente, impediva il recupero dell’imposta nei casi di piano attestato e di accordo di ristrutturazione, a causa del trascorrere del termine annuale rispetto alla operazione originaria: è comune esperienza, infatti, che siffatte operazioni, per la loro complessità e la necessità di condivisione con il ceto creditorio, si perfezionano in circa 12 - 18 mesi.

La nuova previsione:

-        estende a queste due procedure para-concorsuali, la cui importanza nel panorama degli strumenti di regolazione della crisi d’impresa è in forte crescita, la disciplina prevista dall’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 per le procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, accordo di composizione della crisi da sovra indebitamento e procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore) e le procedure esecutive rimaste infruttuose;

-        coordina la disciplina sulla deducibilità delle perdite su crediti, in riferimento alle II.DD., e la disciplina Iva attinente alle variazioni dell'imponibile o dell'imposta.

Momento in cui può essere esercitato il diritto alla detrazione.

La mancata previsione di un limite da parte dell’art. 26 non consentirebbe in ogni caso il libero esercizio del diritto alla detrazione, in quanto dovrebbe, comunque, essere rispettato il principio generale sancito dall’art. 19 del citato D.P.R. n. 633/1972, che prevede, come termine ultimo per l’esercizio del diritto alla detrazione, la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui tale diritto alla detrazione è sorto: in tale senso si è espressa l’Amministrazione Finanziaria con Risoluzione n. 89/E/2002.

Pertanto il recupero dell’Iva versata su crediti non incassati potrà essere effettuato fino all’invio della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per apportare la variazione in diminuzione.

Nel caso delle procedure concorsuali ed esecutive, il momento da cui far decorrere il termine biennale per l’esercizio del diritto alla detrazione, in base a quanto indicato nella Circolare n. 77/E/2000, sarebbero:

-        in caso di dichiarazione di fallimento: dopo 10 giorni dal deposito in cancelleria del piano di riparto o 15 dal decreto di chiusura;

-        in caso di liquidazione coatta amministrativa: dopo 20 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avvenuto deposito del piano di riparto;

-        in caso di concordato fallimentare o preventivo: dopo 15 giorni dall’affissione della sentenza di omologazione del concordato;

-        in caso di procedure esecutive: le stesse si considerano infruttuose quando il creditore è rimasto insoddisfatto. Va precisato che il procedimento di esecuzione forzata si compone di tre fasi e cioè il pignoramento, la vendita all’asta e l’attribuzione del prezzo ricavato dalla vendita.

Nelle due nuove fattispecie - il piano attestato e l’accordo di ristrutturazione, come detto - in mancanza di un intervento di prassi dell’Amministrazione finanziaria, in base al dettato letterale della norma, si ritiene che il momento da cui far decorrere il termine biennale sia:

-        per il piano attestato: la pubblicazione nel Registro delle imprese del piano stesso;

-        per l’accordo di ristrutturazione: la pubblicazione del decreto di omologazione da parte del Tribunale.

Con specifico riferimento al piano attestato, è opportuno rammentare come, ai sensi dell’art. 67 del R.D. n. 267/1942, il debitore non è obbligato alla pubblicazione sul registro imprese del piano, bensì ne ha la mera facoltà .

Con tutta probabilità, dunque, ove la “componente Iva” della massa passiva sia incisiva, si assisterà ad un conflitto tra il creditore ed il debitore: il creditore avrà interesse ad ottenere la pubblicazione del piano, in modo da ottenere la detrazione dell’Iva sulla parte di credito alla quale rinunciano, mentre il debitore non avrà interesse a ricevere le note di variazione, in quanto le stesse genereranno un corrispondente debito Iva.

 

Al manifestarsi di tali fattispecie è riconosciuto al cedente del bene o prestatore del servizio il diritto di emettere una nota di variazione Iva ed esercitare la detrazione della corrispondente imposta: si tratta in ogni caso di una facoltà e non di un obbligo.

Due gli aspetti critici: il presupposto soggettivo (chi può emettere la nota di variazione) e la determinazione dell’infruttuosità della procedura (quando è possibile emettere la nota di variazione).

 

Chi può emettere la nota di variazione

Per quanto riguarda i soggetti titolati all’emissione della nota di variazione Iva, la facoltà non è riconosciuta a tutti i contribuenti, ma esclusivamente al cedente/prestatore partecipante al concorso; ad esempio, al contribuente che si è insinuato nel fallimento ed è stato ammesso allo stato passivo dello stesso.

Diversamente mancherebbe il presupposto dell’infruttuosità della procedura richiesto dall’art. 26, co. 2, Dpr 633/1972.

Inoltre, il riferimento previsto dalla norma al cedente/prestatore, esclude il riconoscimento del diritto all’emissione della nota di variazione in capo all’eventuale cessionario del credito (RM 120/E/2009).

 

Quando è possibile emettere la nota di variazione

Per quanto riguarda invece il momento in cui è possibile emettere la nota di variazione, esso coincide con il momento in cui diviene certa l’infruttuosità della procedura e quindi accertata l’irrecuperabilità del credito.

Di conseguenza, nel caso di:

-        fallimento: dall’esecutività del piano di riparto stabilito dal giudice delegato, dopo che è decorso il termine per le impugnazioni; dopo 10 giorni dal deposito in cancelleria del piano di riparto o 15 dal decreto di chiusura; 

-        liquidazione coatta amministrativa: dall’approvazione del bilancio finale della liquidazione con il conto della gestione e il piano di riparto ai creditori; dopo 20 giorni dalla pubblicazione 

-        concordato fallimentare: dalla definitività del decreto di omologazione; dopo 15 giorni dall’affissione della sentenza

-        concordato preventivo: avendo riguardo alla sentenza di omologazione divenuta definitiva e al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato. dopo 15 giorni dall’affissione della sentenza

L’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182-bis della legge fallimentare non essendo considerato una procedura concorsuale, in quanto finalizzato a valorizzare il ruolo dell'autonomia privata nella gestione della crisi dell'impresa mediante la previsione di una procedura semplificata a carattere stragiudiziale, non rientra invece nella casistica trattata. Pertanto, l’unica possibilità per il creditore che aderisce ad un accordo di ristrutturazione dei debiti di recuperare l’Iva con riferimento alla parte di credito rimasta insoddisfatta, rimane quella concessa “per sopravvenuto accordo tra le parti” prima che sia decorso un anno dall’effettuazione dell’operazione originaria che ha dato luogo all’emissione della fattura, come previsto dal comma 3 dell’art. 26.

 

procedura esecutiva infruttuosa

Per quanto riguarda invece le note di variazione emesse sulla base di una procedura esecutiva infruttuosa, il diritto alla variazione presuppone che abbia avuto inizio una procedura esecutiva e che la stessa si sia conclusa infruttuosamente (RM. 195/E/2008): non basta quindi la notificazione del titolo esecutivo e del precetto se non è poi avvenuta alcuna attività esecutiva (il pignoramento). 

La facoltà di emissione della nota di variazione ex art. 26, co. 2, non soggiace ad alcun limite temporale se non quello previsto ai fini della detrazione Iva, ovvero il termine della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione, ed alle condizioni esistenti in tale momento (RM 89/E/2002).

 

È anche buona norma distinguere contabilmente i crediti verso i suddetti soggetti in due conti, uno dedicato all’ammontare dei corrispettivi maturati e uno dedicato all’ammontare vantato in via di rivalsa per l’IVA fatturata su tali corrispettivi. Ciò in quanto le due tipologia di crediti possono avere, sia ai fini di bilancio che ai fini fiscali, sorti diverse. In particolare, il credito per i corrispettivi è potenzialmente soggetto a eventuali svalutazioni o a storni per perdite su crediti, mentre il credito per IVA può comunque essere recuperato, sotto forma di detrazione, anche in caso di mancato incasso del credito per i corrispettivi.

Per l’IVA l’art. 26, comma 2, del D.P.R. 633/1972, statuisce infatti il diritto per il cedente del bene o prestatore del servizio di portare in detrazione (in tutto o in parte) l’imposta esposta in fattura, qualora l’ammontare imponibile (cioè il corrispettivo della cessione o della prestazione) venga ad annullarsi (o a ridursi) “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose”.

Le procedure concorsuali che certamente consentono il diritto alla detrazione (in caso di infruttuosità) sono:

-        il fallimento;

-        il concordato fallimentare;

-        il concordato preventivo;

-        la liquidazione coatta amministrativa.

Tornando alle procedure concorsuali che consentono il diritto alla detrazione dell’IVA, va segnalato che secondo l’Amministrazione finanziaria (cfr. circolare n. 77/E del 17.04.2000) possono esercitare tale diritto i soli cedenti o prestatori che hanno concorso alla procedura. Da ciò consegue che presupposto per la detrazione dell’IVA è l’ammissione allo stato passivo del fallimento ovvero l’inserimento nell’elenco dei creditori del concordato preventivo.

Altro presupposto per il recupero dell’IVA è che questa risulti da una fattura regolarmente emessa e registrata.

Di conseguenza, non possono beneficiare della detrazione i soggetti che hanno certificato i corrispettivi con altri mezzi (in particolare, scontrini e ricevute fiscali).

Per quanto poi concerne il momento nel quale sorge il presupposto della infruttuosità delle procedure concorsuali (essenziale per poter operare la detrazione dell’IVA), questo è da far coincidere (secondo quanto anche indicato nella circolare n. 77/E del 2000):

-        per il fallimento, con la scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni al piano di riparto, ovvero, se il fallimento si chiude senza un piano di riparto, con la scadenza del termine entro il quale è possibile proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura;

-        per il concordato fallimentare, con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione;

-        per la liquidazione coatta amministrativa, con l’approvazione del piano di riparto.

Per le procedure esecutive il presupposto della infruttuosità viene ad esistenza, secondo l’Amministrazione finanziaria, quando il credito del cedente o prestatore non trova soddisfacimento attraverso la distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni esecutati oppure quando sia stata accertata e documentata dagli organi della procedura esecutiva l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione.

Non è quindi sufficiente a consentire la variazione dell’IVA la sola notificazione del titolo esecutivo.

Non è inoltre consentita la variazione IVA in caso di impossibilità di esperire l’azione esecutiva (ad esempio, per irreperibilità del debitore).

Per quanto concerne il termine entro il quale è possibile esercitare il diritto alla detrazione statuito dall’art. 26, comma 2, del D.P.R. 633/1972, l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che per effetto del combinato disposto del richiamato art. 26 e dell’art. 19 del medesimo decreto, tale diritto deve essere esercitato “al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto” (cfr. ris. 85/E del 31.03.2009), dovendo intendersi, per verifica del presupposto, il momento in cui risulta definitivamente acclarata la infruttuosità della procedura concorsuale o esecutiva.

Dal punto di vista formale, ancorché la normativa di riferimento non preveda particolari obblighi documentali, è opportuno (giusto anche quanto indicato dalla prassi ministeriale) che il fornitore emetta una nota di variazione correlata alla fattura originaria, con indicate le sue generalità e quelle del cliente, la quantità e la qualità dei beni ceduti o delle prestazioni rese, l’ammontare dell’imponibile e dell’IVA originariamente fatturati nonché le variazioni sia dell’imponibile che dell’IVA operate in conseguenza del mancato pagamento.

Non è invece consentito emettere una nota di variazione per la sola IVA, tralasciando la variazione dell’imponibile (cfr. risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 127/E del 3.04.2008).

Nella nota di variazione andrà altresì evidenziato che trattasi di variazione operata per mancato pagamento del corrispettivo a causa di procedura (concorsuale o esecutiva) rimasta infruttuosa, specificando gli estremi identificativi della procedura e gli elementi acclaranti la definitiva infruttuosità.

La nota di variazione va annotata nel registro IVA degli acquisti, ovvero, in alternativa, può essere annotata in rettifica nel registro dei corrispettivi o in quello delle fatture emesse.