Assegnazione agevolata beni ai soci – Scritture contabili

Oltre ai significativi vantaggi fiscali derivati dalle disposizioni della legge di Stabilità 2016 (legge n.208/15), l’assegnazione è una operazione che non trova una definizione “ufficiale” nel codice civile.

Assegnazione agevolata beni ai soci – Scritture contabili

Oltre ai significativi vantaggi fiscali derivati dalle disposizioni della legge di Stabilità 2016 (legge n.208/15), l’assegnazione è una operazione che non trova una definizione “ufficiale” nel codice civile.

Utile per dare una prima definizione è il riferimento che deriva dall’ intervento (la CM 112/E/99) fatto dalla AdE dove si afferma infatti che “L'assegnazione viene a configurarsi ogni qual volta la società procede, nei confronti dei soci, alla restituzione di capitale o di riserve di capitale ovvero alla distribuzione di utili o di riserve di utili “.

Tale definizione è condivisa dalla dottrina notarile che anch’essa afferma essere l’elemento essenziale che caratterizza l’attribuzione ai soci la quale necessariamente comporta una riduzione del patrimonio netto.

 

Ed allora contabilmente la contropartita dell’attribuzione dei beni ai soci è una eguale passività di PN, ed eventualmente altre passività assegnate.

Importante allora considerare che se non vi è una riduzione del patrimonio netto non si può tecnicamente parlare di assegnazione.

Partendo da tale presupposto si pongono alcuni problemi diversi di ordine civilistico e contabile a seconda che la riduzione del patrimonio netto includa o meno il capitale sociale.

 

Sotto il profilo contabile l’assegnazione di beni ai soci, è un operazione “interna” tra società e soci.

L’operazione non incide sul conto economico. L’ eventuale emersione di plusvalenze o minusvalenze di carattere fiscale non trova una evidenza nel conto economico.  La contropartita della eliminazione del bene non può che essere il patrimonio netto, senza quindi interessare il conto economico.

Esempio.

Immobile con valore contabile (costo fiscalmente riconosciuto) pari a 1.000,

-        valore normale/catastale pari a 1.500

-        assegnato tramite riduzione di riserve di utili per 1.000,

la scrittura contabile sarà la seguente:

DARE 

 AVERE

Riserve utili 1.000 

Immobile 1.000

La circostanza relativa all’emersione di una plusvalenza pari a 500 (differenza tra valore normale/catastale e costo fiscalmente riconosciuto) rileva solo dal punto di vista fiscale generando una imposta sostitutiva di 40 (determinata applicando l’aliquota dell’8% prevista dall’agevolazione contenuta nella legge Stabilità 2016).

L’imposta sostitutiva va naturalmente iscritta a conto economico quale costo.

Non si verificano scritture a conto economico per la plusvalenza di 500.

Stesso ragionamento se fosse una minusvalenza che anch’essa non transita a conto economico.

Eventuale minusvalenza che, non configurandosi nel caso l’assegnazione come operazione realizzativa, non risulta nemmeno deducibile.

 

Ulteriore ipotesi di rappresentazione contabile.

Tale ipotesi è sorretta da autorevole dottrina, comune alle considerazioni sopra espresse è che il conto economico non viene interessato dall’operazione, tuttavia si propone una tesi che incide sull’entità del patrimonio netto.  Considerando che i beni in natura non hanno un valore predeterminato oggettivamente, a differenza del denaro, potrebbe essere eseguita una assegnazione a valori che eccedono quello contabile, o meglio che eccedono la riduzione del patrimonio netto. Assegnazione plusvalente.

Nei poteri dell’organo assembleare, possibilità di decidere, che l’assegnazione avvenga ai valori contabili o a quelli di mercato, nel caso in cui sia maggiore oppure ad un valore intermedio tra i due.

Se i beni venissero assegnati al valore iscritto in bilancio, il patrimonio sociale diminuirà esattamente di un importo pari alla riduzione del capitale; qualora invece l’assegnazione avvenisse ad un valore superiore al valore iscritto, la riduzione dell’attivo sarà inferiore alla riduzione del capitale, determinando così una eccedenza da iscrivere in bilancio come riserva disponibile.

Si consideri ad esempio una società avente

capitale sociale di 800.000 euro,

passività reali per 1.000.000 euro,

beni iscritti all’attivo per 1.800.000 euro.

Qualora il capitale venisse ridotto da 800.000 a 600.000 euro ed ai soci venissero restituiti beni iscritti in bilancio per 200.000 euro la situazione patrimoniale della società resterebbe perfettamente bilanciata: il capitale di 600.000 e le passività reali di 1.000.000 saranno sempre coperti da un attivo il cui valore contabile sarà pari a 1.600.000 euro. Se al contrario i beni distribuiti ai soci avessero, per esempio, un valore di mercato doppio rispetto al loro valore di bilancio e fossero assegnati ai soci per il loro valore di mercato, nell’esempio che precede i soci sarebbero soddisfatti con la distribuzione (per complessivi 200.000 euro) di beni iscritti in bilancio per 100.000 euro. L’operazione produrrebbe come effetto che, di fronte ad un attivo di un 1.700.000 euro (a valore di libro), vi sarebbe un capitale di 600.000 euro ed un passivo reale di 1.000.000. La differenza (100.000 euro) darebbe luogo ad una plusvalenza, tassata, e dovrebbe essere accantonata a riserva.

Nell’esempio che precede possiamo notare come l’effetto del realizzo di beni plusvalenti è comunque rilevato tramite una iscrizione di riserva, senza che tuttavia sia inciso direttamente il conto economico.

A ben vedere si può ritenere che il bene sia stato assegnato al valore di libro (nell’esempio 100.000) e che il capitale sociale sia stato ridotto effettivamente dello stesso importo (100.000) poiché a fronte di una riduzione di 200.000, poi si iscrive una riserva pari a 100.000.

Il risultato sostanziale è che viene modificata la formazione del patrimonio netto, spostandosi una entità da capitale sociale a riserva.

Si potrebbe, inoltre, ragionare allo stesso modo anche al contrario, cioè assegnando beni il cui valore effettivo è inferiore a quello iscritto in bilancio. La fattispecie non necessariamente costituisce un illecito contabile rappresentato dall’aver mantenuto in bilancio un bene ad un valore non reale senza aver operato una svalutazione.

Al riguardo si potrebbe sostenere che la perdita di valore non è durevole, ed in effetti la recente fluttuazione dei prezzi nel mercato edilizio potrebbe ben giustificare l’assenza di una svalutazione.

Ma quando il bene è assegnato ai soci la perdita di valore diventa irrevocabile e quindi in quel momento dovrebbe avvenire la svalutazione.

Si veda il seguente esempio:

Immobile iscritto per 1.000 (valore reale dell’immobile 800),

Altre attività 1.000,

Passività per 300,

Patrimonio netto per 1.700.

Prima di assegnare viene eseguita la svalutazione, quindi l’immobile passa a 800, passività 300, patrimonio netto 1.500. Se si volesse dare rappresentazione contabile a tale situazione si potrebbe rilevare direttamente a patrimonio netto la perdita con la seguente scrittura contabile

DARE 

 AVERE

Svalutazione 200

Immobile 200

Immobile 800 

Patrimonio netto 800

Come si vede il patrimonio netto viene comunque ridotto di 1.000, cioè il valore contabile dell’immobile ante svalutazione.