COMPENSI degli AMMINISTRATORI

  1. Compensi degli amministratori – Tipologie
  2. Regime impositivo in capo all’amministratore
  3. Regime impositivo in capo alla società erogante

VEDI ANCHE

Compensi degli amministratori deducibili solo se prima deliberati

Tale delibera deve essere preventiva alla erogazione, ma non è necessario che ve ne sia una specifica per ogni anno. 

Lo ha stabilito la C.T. Prov. di Alessandria, con la sentenza n. 86/5/11 del 23 novembre 2011.

COMPENSI degli AMMINISTRATORI

Compensi degli amministratori; Tipologie Regime impositivo in capo all’amministratore

Regime impositivo in capo alla società erogante

Compenso Amministratori Rinuncia

I compensi erogati agli amministratori debbono essere opportunamente stabiliti dall’assemblea, con idoneo verbale trascritto sui libri sociali

1. COMPENSI degli AMMINISTRATORI – TIPOLOGIE

Ai sensi dell’art. 2389, co. 1, Codice civile «i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea».

L’articolo in commento, pertanto, indica a chi spetti determinare il compenso degli amministratori, ma non regola il diritto degli amministratori al compenso medesimo. Occorre, pertanto, riferirsi alla volontà sociale espressa nello statuto e, laddove quest’ultimo non ne faccia menzione, la dottrina e giurisprudenza di merito sono concordi nel sostenere una «presunzione di onerosità» del rapporto di amministrazione.

Indipendentemente dalla natura e dall’ammontare del compenso percepito, gli amministratori, pertanto, hanno diritto a essere remunerati, salvo esplicita disposizione contraria dell’atto costitutivo.

Generalmente, il compenso spettante all’organo amministrativo di una società per lo svolgimento delle proprie funzioni è determinato in misura fissa ovvero variabile in proporzione all’ammontare degli utili conseguiti dalla società.

Si distinguono due tipologie di compenso:

·         il compenso annuale;

·         un eventuale trattamento di fine mandato (TFM) che costituisce una sorta di remunerazione differita dell’opera prestata da corrispondersi al momento della cessazione del rapporto.

Obiettivo della presente circolare è quello di approfondire il regime fiscale applicabile, sia in capo al soggetto percipiente, che alla società erogante, nelle diverse ipotesi in cui l’amministratore sia un professionista o meno, ovvero, nel caso in cui quest’ultimo sia anche socio della società amministrata o non faccia parte della sua compagine sociale.

2. REGIME IMPOSITIVO IN CAPO all’AMMINISTRATORE

2.1 Compenso annuale

Secondo quanto chiarito dall’Amministrazione finanziaria nelle CC.MM. 6.7.2001, n. 67/E e 12.12.2001, n. 105/E, da un punto di vista fiscale i compensi degli amministratori possono assumere diversa natura a seconda della tipologia di soggetto che svolge la funzione di amministratore.

In particolare, i proventi derivanti dagli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società ed enti danno luogo:

·         per regola generale a redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente in quanto rientranti nelle cd. collaborazioni coordinate e continuative;

·         in via eccezionale a redditi di lavoro autonomo se percepiti da professionisti, quando l’ufficio rientra nei compiti istituzionali oggetto della professione.

 

EMOLUMENTI degli AMMINISTRATORI

Amministratore «non professionista»

Amministratore «professionista»

Redditi assimilati ai redditi di lavoro dipendente

(ex art. 50, co. 1, D.P.R. 917/1986)

Redditi di lavoro autonomo

(ex art. 53, D.P.R. 917/1986)

 

2.1.1 Collaborazioni coordinate e continuative

L’art. 50, co. 1, lett. c-bis), D.P.R. 917/1986, che definisce le varie fattispecie di collaborazioni coordinate e continuative, assimila ai redditi di lavoro dipendente le somme ed i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società.

Come specificato dalla C.M. n. 67/E/2001, le collaborazioni coordinate e continuative possono essere distinte in categorie:

·         i rapporti di collaborazione «tipici» nei quali vanno ricompresi gli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazione ed enti, la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili (salvo il caso in cui trattasi di fattispecie inerenti allo sfruttamento dei diritti d’autore), la partecipazione a collegi e commissioni;

·         i rapporti di collaborazione «non tipizzati» caratterizzati da determinati requisiti oggettivi inerenti allo svolgimento di un’attività lavorativa coordinata, continuativa, non subordinata e retribuita periodicamente secondo quanto pattuito dalle parti.

In entrambi i casi, tuttavia, per espressa previsione di legge l’assimilazione alla categoria reddituale dei redditi di lavoro dipendente non opera qualora le suddette attività:

·         rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’art. 49, co. 1, D.P.R. 917/1986, concernente i redditi di lavoro dipendente; o

·         rientrino nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’art. 53, co. 1, D.P.R. 917/1986, concernente i redditi di lavoro autonomo.

L’inclusione dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nell’ambito dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente comporta che, ai fini della determinazione del reddito, si rendano applicabili le regole contenute nell’art. 51, D.P.R. 917/1986, in base al quale la base imponibile è data da tutte le somme percepite nel periodo d’imposta, anche se corrisposte da terzi.

Vale, in buona sostanza, il principio di tassazione per cassa.

Ai sensi del menzionato art. 51, co. 1, D.P.R. 917/1986, inoltre, con riferimento ai redditi di lavoro dipendente «si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d’imposta successivo a quello cui si riferiscono».

Per determinare a quale periodo d’imposta imputare le somme percepite dagli amministratori di società è applicabile, pertanto, il principio di cassa cd. «allargata», così come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella C.M. n. 67/E/2001. Va sottolineato, inoltre, che, secondo quanto chiarito dall’Inps nella Circolare 8.1.2002, n. 10 e ribadito nella Circolare 30.1.2003, n. 21, l’applicazione del principio di cassa «allargata» si riflette anche ai fini previdenziali.

A titolo esemplificativo, si pensi al caso del Sig. Mario Rossi che abbia ricevuto il 5.1.2010 il compenso relativo all’attività amministrativa svolta nell’ultimo quadrimestre del 2009. In applicazione del principio di cassa «allargata», tale somma concorrerà alla determinazione della base imponibile del 2009 dell’amministratore e sarà soggetta alle aliquote previdenziali in vigore nel 2009.

Diversamente, i compensi riferiti alle prestazioni rese in un determinato periodo d’imposta e corrisposti dopo il 12 gennaio dell’anno successivo seguono la regola generale in base alla quale la tassazione delle somme avviene nell’anno in cui le stesse sono percepite.

Quindi, se le somme in esame (relative a prestazioni del 2009) sono corrisposte dopo il 12.1.2010, per l’amministratore costituiscono reddito percepito nel 2010 e la società deve:

·         operare la ritenuta sulla base delle aliquote progressive per scaglioni di reddito vigenti nel 2010;

·         calcolare le detrazioni nella misura spettante nel 2010.

Tornando all’esempio proposto, pertanto, se il compenso del Sig. Mario Rossi è stato pagato dopo il 12.1.2010, esso concorre alla determinazione della sua base imponibile nel 2010.

Pare utile sottolineare in questa sede che l’applicazione del principio di cassa «allargata» richiede necessariamente che il reddito dell’amministratore sia equiparabile a quello di lavoro dipendente.

Il principio di cassa «allargata» non è, quindi, applicabile al lavoratore autonomo (in possesso di partita Iva) che svolga anche mansioni di amministratore rientranti nell’oggetto della propria attività, ossia per le quali siano necessarie competenze tecnico-giuridiche direttamente collegate con l’attività di lavoro autonomo esercitata (tipicamente ragionieri e dottori commercialisti).

Per quanto attiene alla modalità operativa di tassazione, come già menzionato, la società erogante funge da sostituto d’imposta e deve operare una ritenuta a titolo di acconto dell’Irpef calcolata sulla base delle aliquote progressive per scaglioni di reddito. La ritenuta dovrà essere operata in riferimento a tutte le somme e i valori (ivi compresi, pertanto, i compensi in natura) che il collaboratore percepisce in relazione al rapporto di collaborazione intrattenuto.

In particolare:

·         se il compenso è periodico e prestabilito: la determinazione della ritenuta verrà effettuata con le medesime modalità dei lavoratori dipendenti (ragguagliando gli scaglioni annui ai periodi di paga e considerando le detrazioni spettanti e richieste ragguagliate al periodo di paga);

·         se il compenso viene erogato in un’unica soluzione: le detrazioni vanno commisurate all’intero ammontare del compenso;

·         se il compenso è periodico ma non prestabilito, ovvero, se il compenso è prestabilito ma erogato non periodicamente: la ritenuta viene operata considerando gli scaglioni annui (non ragguagliandola, quindi, al periodo di paga) e nella sua determinazione si deve tenere conto anche dei compensi erogati precedentemente. Le detrazioni spettano solo in sede di conguaglio o di fine rapporto.

Le detrazioni competono nell’anno di tassazione dei redditi per cui sono concesse.

Nel caso in cui, infine, l’amministratore sia un soggetto non residente, ai sensi dell’art. 24, co. 1-ter, D.P.R. 600/1973, la ritenuta è operata a titolo d’imposta nella misura del 30% sull’intero ammontare corrisposto, al netto dei rimborsi spesa debitamente documentati.

In questi casi si dovrà poi valutare l’eventuale disciplina di maggior favore contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

In particolare, l’art. 16 del Modello Ocse prevede che «le partecipazioni agli utili, i gettoni di presenza ed altre analoghe retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve in qualità di membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato».

In altre parole, la Convenzione consente che il Paese della fonte del reddito (nel nostro caso l’Italia) eserciti la propria potestà impositiva sui redditi ivi percepiti dall’amministratore. La medesima materia imponibile sarà tassata anche nel Paese di residenza dell’amministratore, salvo il riconoscimento di un credito d’imposta per le imposte pagate all’estero da quest’ultimo.

2.1.2 Reddito di lavoro autonomo

Assieme all’ipotesi in cui le attività svolte rientrino nelle mansioni proprie del lavoro dipendente, un’altra eccezione alla sopraccitata regola impositiva generale riguarda il caso del professionista qualora i compiti istituzionali rientrino nell’oggetto dell’arte o professione del contribuente.

L’Amministrazione finanziaria nella C.M. n. 67/E/2001 ha precisato che al fine di stabilire se sussista o meno una connessione tra l’attività amministrativa e quella di lavoro autonomo è necessario verificare se l’attività di collaborazione richieda l’impiego di conoscenze tecnico-giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo. A tal proposito, la C.M. citata precisa che l’attività di amministratore di società «non può essere attratta nell’ambito del lavoro autonomo in quanto per l’esercizio della stessa non è necessario attingere a specifiche conoscenze professionali».

Tale interpretazione è stata oggetto di numerose critiche e immediatamente superata dalla C.M. n. 105/E/2001 dove è stato chiarito che «anche l’esercizio dell’attività di amministrazione di società ed enti comporta, in alcune ipotesi (ad esempio per l’attività svolta dai ragionieri e dottori commercialisti) la necessità di attingere a conoscenze direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo svolto.

I commercialisti amministratori, pertanto, fattureranno sempre le loro competenze per incarichi di amministratori. Per altre tipologie professionali, inoltre, al fine di stabilire se sussista o meno una connessione tra attività di collaborazione e quella di lavoro autonomo esercitata occorre valutare se per lo svolgimento delle prestazioni di collaborazione siano necessarie conoscenze tecnico-giuridiche direttamente collegate all’attività di lavoro autonomo esercitata abitualmente». La stessa Agenzia, infatti, attrae nell’ambito del reddito di lavoro autonomo anche l’ipotesi rappresentata da un professionista amministratore di una società esercente un’attività oggettivamente connessa alle mansioni tipiche dell’attività professionale esercitata. A tal fine è proposto l’esempio dell’ingegnere edile membro del Consiglio di amministrazione di una società di ingegneria o di una società operante nel settore delle costruzioni.

In conclusione, si possono identificare due ipotesi per cui opera il principio di attrazione al reddito di lavoro autonomo dei compensi di amministratore:

·         il dottore commercialista o il ragioniere (ora dottori commercialisti ed esperti contabili) che assume la veste di amministratore in una società, indipendente dal settore in cui questa opera;

·         il professionista che, anche in assenza di una previsione espressa nell’ambito delle norme di disciplina dell’ordinamento professionale, svolge l’incarico di amministratore in una società che opera in un settore oggettivamente connesso alla professionalità del soggetto.

2.2 Trattamento di fine mandato

In aggiunta al compenso, frequentemente le società riconoscono agli amministratori il diritto ad un’indennità di fine mandato (TFM) che costituisce una sorta di remunerazione differita dell’opera prestata.

In maniera sostanzialmente analoga a quanto previsto dall’art. 2120, Codice civile per i lavoratori dipendenti agli amministratori di società è garantita un’indennità da corrispondersi, appunto, alla cessazione del rapporto. Questa forma di remunerazione non discende da specifiche norme di legge o da regolamenti collettivi ma è lasciata alla libera negoziazione tra le parti.

Ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. c), D.P.R. 917/1986, l’indennità di fine mandato spettante all’amministratore è soggetta a tassazione separata, «se il diritto all’indennità risulta da un atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto».

In questo caso, il prelievo fiscale opera in due distinte fasi:

·         al momento dell’erogazione: la società, in qualità di sostituto di imposta, effettuerà una ritenuta a titolo di acconto del 20% sull’ammontare imponibile dell’indennità (ex art. 24, co. 1, D.P.R. 600/1973);

·         successivamente: l’Agenzia delle Entrate provvederà a liquidare e ad iscrivere a ruolo l’imposta in via definitiva, sulla base del reddito medio relativo al biennio precedente.

La scelta per la tassazione ordinaria è rimessa all’Ufficio. Quest’ultimo, infatti, in sede di liquidazione dell’imposta dovuta sottopone l’indennità a tassazione ordinaria, «facendo concorrere i redditi stessi alla formazione del reddito complessivo dell’anno in cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole per il contribuente» (ex art. 17, co. 3, D.P.R. 917/1986).

AGGIORNAMENTO 03/03/2012

Tassazione ordinaria per il TFM degli amministratori

Il «Decreto Monti» elimina la tassazione separata per tali indennità, se il relativo diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011

Le indennità di fine mandato (TFM) degli amministratori di società di capitali sono soggette a tassazione ordinaria solo per la parte eccedente un milione di euro. È questo il più importante chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 3 emanata ieri, che analizza l’art. 24 comma 31 del DL n. 201/2011, convertito nella L. 22 n. 214/2011 (Manovra Monti), con il quale sono state introdotte deroghe al regime di tassazione separata delle indennità di fine rapporto di cui all’art. 17 comma 1 lettere a) e c) del TUIR, cioè del TFR e delle indennità equipollenti dei lavoratori dipendenti, nonché delle indennità percepite 

La tassazione degli amministratori di società è stata modificata in modo significativo da parte del “Decreto Monti”. L’art. 24, comma 31 del provvedimento ha infatti abrogato il regime di tassazione separata che caratterizzava le indennità di fine mandato corrisposte agli amministratori, le quali concorrono in questo modo alla formazione del reddito dell’amministratore secondo le regole ordinarie (con tassazione nel periodo d’imposta d’incasso delle somme in base ai corrispondenti scaglioni IRPEF).

 

La norma precisa che la tassazione ordinaria è prevista, per il TFM amministratori:

- “in ogni caso” (e, quindi, indipendentemente dall’entità dell’indennità corrisposta all’amministratore cessato);
- se il relativo diritto alla percezione è sorto a decorrere dal 1° gennaio 2011.

 

Proprio la decorrenza della novità, per la quale è stato fatto ricorso espresso alla deroga allo Statuto dei diritti del contribuente, è con tutta probabilità l’aspetto più problematico della nuova normativa.
La norma prevede, infatti, la tassazione ordinaria se il “diritto alla percezione” è sorto dal 1° gennaio 2011.

Nell’ambito della prassi amministrativa relativa al TFR dei lavoratori dipendenti, l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che il diritto alla percezione dell’indennità si considerava acquisito il giorno successivo alla cessazione del rapporto.

 

Se questa impostazione fosse confermata nell’ambito della nuova normativa, ciò significherebbe che tutti gli amministratori il cui rapporto con la società si è interrotto dal 31 dicembre 2010 in poi vedrebbero attratte le loro indennità di fine mandato al regime previsto dal DL 201/2011; se, in particolare, le suddette indennità fossero state incassate nel corso del 2011, esse dovrebbero essere dichiarate nel modello UNICO 2012, tra i proventi assoggettati a tassazione ordinaria, con lo scomputo dall’imposta dovuta delle ritenute operate dalla società all’atto della corresponsione delle somme.

Non appare chiaro se possa invece rilevare, a tal fine, la data (certa) anteriore all’inizio del rapporto nella quale è stato accordato all’amministratore il diritto all’indennità. Se così fosse, per tutti i rapporti iniziati fino al 2010 (o, per meglio dire, per tutti i rapporti caratterizzati da atti di data certa anteriori al 1° gennaio 2011 nei quali era previsto il diritto per l’amministratore a percepire l’indennità) continuerebbe a sussistere la tassazione separata, indipendentemente dalla data di cessazione del rapporto.

Dubbio il ricorso al momento in cui è sorto il diritto all’indennità

Si tratta, in ogni caso, di un’interpretazione non perfettamente aderente al testo del DL 201/2011, in quanto:
- quest’ultima norma prevede, come detto, che, se il “diritto alla percezione” del TFM è sorto dal 1° gennaio 2011, la tassazione è comunque ordinaria;

- il “diritto all’indennità” sembra, invece, rappresentare il diritto per l’amministratore di percepire il TFM una volta cessato il rapporto con la società.

La questione appare di estrema rilevanza, in particolar modo alla luce degli obblighi di consegna del modello CUD agli amministratori e, naturalmente, della stima delle imposte da effettuare nel prossimo modello UNICO 2012 (che, oltre all’IRPEF, comprenderebbero anche le relative addizionali, nonché il contributo di solidarietà del 3% per i redditi eccedenti i 300.000 euro).

 

 

2.3 Profili previdenziali

Dall’1.1.1996, in base al disposto dell’art. 2, co. 26, L. 335/1995, è stata istituita la cd. Gestione separata Inps, ossia «l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti» alla quale sono obbligati ad iscriversi «i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo di cui al comma 1 dell’articolo 53 del tuir (...) nonché i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 53 [ora art. 50, co. 1, lett. c-bis)] del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio».

Di conseguenza, alla Gestione separata Inps devono risultare iscritti, tra gli altri, gli amministratori di società, ai fini dell’assoggettamento a contribuzione dei compensi percepiti.

In caso di svolgimento di una duplice attività lavorativa, l’obbligo contributivo sussiste peraltro ancorché per l’altra attività sia già prevista una forma di tutela assicurativa. Ciò non determina comunque una duplicazione della contribuzione in quanto l’obbligo contributivo è parametrato sulla base dei compensi percepiti per ciascuna distinta attività. Così, ad esempio, un lavoratore dipendente per il quale il datore di lavoro corrisponde i relativi contributi previdenziali, deve essere altresì iscritto alla Gestione separata Inps qualora svolga anche l’attività di amministratore di una socie