Descrizione inserita nelle fatture.

Dalla errata indicazione derivano due conseguenze: - violazione delle prescrizioni dell’articolo 21 D.P.R. 633/1972; - disconoscimento del costo in capo al soggetto acquirente del bene o del servizio.

Descrizione inserita nelle fatture.

La Corte di Cassazione (sentenza n. 21980/2015), si è interessata alla irregolare compilazione delle fatture da essa emesse nei confronti di una SpA, stante la generica indicazione del loro oggetto descritto: “servizi professionali, magazzinaggio, trasporto, tenuta contabile, marketing e promozione vendite".

A seguito di ricorso l’Agenzia delle entrate proponeva appello, che veniva rigettato dalla CTR Lombardia, ritenendo i giudici che, sebbene si dovesse rilevare l'estrema genericità ed ampiezza della casistica relativa alle prestazioni effettuate, proprio in funzione di questa caratteristica andavano ritenute accettabili le ragioni addotte secondo cui, trattandosi di collaborazioni correnti da molti anni, la descrizione poteva anche ricomprendere quelle effettivamente prestate nei vari periodi.

Secondo la Corte di Cassazione invece è fondato, in quanto sulle fatture:

-        è richiesta l’indicazione della natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione;

-        deve essere trasparente e conoscibile, essendo funzionale a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell'Amministrazione finanziaria e, segnatamente, a consentire l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione;

-        l’indicazione generica dell’operazione con unica descrizione attività assai disparate sotto il profilo del contenuto, spaziando da attività materiali (trasporto e magazzinaggio) ad attività d’ordine (tenuta contabilità), ad attività a più alto contenuto di professionalità(promozione vendite) e ad attività del tutto generiche (servizi professionali e marketing), non soddisfa le finalità conoscitive che la norma intende assicurare.

La Corte di Cassazione riprende il contenuto della norma ed afferma che, probabilmente, si doveva maggiormente descrivere i servizi prestati (trasporto e magazzinaggio di cosa, quando e come, quale promozione delle vendite, quale attività di marketing, ecc.).

Evidentemente la Cassazione si è lasciata “affascinare” da una descrizione di addebiti che hanno più il sapore di una sistemazione di rapporti economici tra differenti società, probabilmente non quantificate in modo preciso ma semplicemente relative ad un riaddebito di funzioni svolte dal personale di uno di detti enti.

 

Risulta infatti frequente il fatto che un costo supportato da documenti simili a quelli evocati nel caso di specie sia considerato come non sufficientemente supportato e, per conseguenza, giudicato come non deducibile.

Quindi, con la sentenza della Cassazione avremmo collezionato:

- la sanzione per genericità della descrizione, come a dire che le prestazioni sono state rese, ma è stata mal compilata la fattura;

- il disconoscimento del costo indebitamente fondato (a nostro giudizio) sulla eventuale patologia del documento, ma solo ai fini dell’Iva (carente compilazione della fattura).

Si ha dunque modo di rilevare che il nostro sistema tributario dovrebbe agire per gradi, preliminarmente partendo dalla constatazione della esistenza della operazione.

Infatti, solo se l’operazione è stata materialmente realizzata si dovrebbe analizzare la correttezza del documento, eventualmente sanzionando i comportamenti non conformi rispetto alla norma (pur se rileviamo che, nel caso delle prestazioni di servizi, il confine tra esaustiva descrizione e generica descrizione finisce per dipendere unicamente dalla discrezionalità del verificatore, il quale prescinde – talvolta – da tutta una serie di circostanze, scambi documentali, corrispondenza, ecc. che ben possono avvalorare e supportare gli scambi).

Che poi, dalla carente descrizione delle prestazioni possa discendere la indeducibilità del costo in capo al committente è circostanza tutta da valutare, anche se la giurisprudenza si trova spesso “appiattita” sulle censure degli uffici; proprio dalla carenza di materialità dell’operazione deriva anche una difficoltà di documentazione a posteriori del servizio reso/ricevuto, magari a distanza di anni dalla sua esecuzione.

Si pensi al campo della consulenza professionale, ove risulta davvero difficoltoso “quantificare” il valore di un ottimo consiglio o suggerimento, magari circoscritto ad un colloquio verbale con il cliente. Fino a che punto deve spingersi la descrizione dell’operazione? Forse indicare “consulenza prestata in ambito di ….” è descrizione troppo generica?

E quando andiamo dal medico, l’indicazione sulla parcella “visita specialistica” è da ritenersi descrizione generica?

Insomma, ci pare che i messaggi che si possono trarre dalla sentenza non debbono essere generalizzati ma, più propriamente, analizzati caso per caso, valutati alla luce delle circostanze specifiche.

Purtroppo, però, il precedente resta, e qualcuno potrà sempre sanzionare il comportamento del contribuente evocando la sentenza della Corte di Cassazione.